Spazio Architettonico

S. MARIA DI GALLORO

Note sullo Spazio Architettonico nella Cronologia degli Interventi

Queste note si basano su quanto, principalmente, si legge nel volume pubblicato dal Centro Regionale per la Documentazione dei Beni Culturali e Ambientali della Regione Lazio. Nell’Appendice di tale volume vengono chiaramente delineate le fasi fondamentali della costruzione e degli interventi a completamento ed anche a modifica dell’originale uniformità della idea strutturale del Santuario di Galloro, talora con parziale perdita della coerenza espressiva delle origini. Con riferimento alle fonti viene indicata la presenza dell’architetto fra’ Michele da Bergamo, dell’Ordine dei Cappuccini, sin dalla posa della prima pietra da parte del Vescovo Giambattista Deti di Albano il 15 agosto 1624; il frate cappuccino ebbe contatti col card. Deti anche successivamente per i lavori alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Roma. Fra’ Michele era stato incaricato nel 1624 da Papa Urbano VIII (1623-1644) come suo Architetto Pontificio Fabbriciere Sovrintendente a tutte le opere nel Lazio, carica che tenne fino alla sua morte nel 1640; egli ebbe, per questo, mandato di controllo, supervisione e revisione su ogni costruzione ed interagì con tutti i grandi architetti che operarono allora a Roma e nel Lazio. Fra’ Michele, come emerge dalle documentazioni della famiglia Barberini e dei Cappuccini, intervenne massimamente per le fabbriche pontificie, quali i Palazzi Pontifici, i relativi Giardini del Vaticano, del Quirinale e di Castel Gandolfo, nonché per il grande cantiere di Castel S. Angelo, per le chiese romane e per gli edifici civili di varia natura, sempre legati alle commissioni papali. Si riscontra con eccezionale frequenza la sua firma quale ultimo principale responsabile dei lavori, con controllo sui materiali e qualità delle opere, revisore dei conti e definitivo decisore sull’esecuzione a regola d’arte delle opere e congruità della spesa. Alla data della decisione della costruzione della chiesa per l’Immagine Mariana di Galloro il frate architetto era già noto anche al Principe Savelli di Albano essendo stato l’architetto della Chiesa dei Cappuccini di Albano (1617-18) di cui si era reso promotore il principe. Fra’ Michele risiedette nel convento di Albano di cui fu anche padre guardiano. Fra’ Michele definisce l’impianto della Chiesa tenendo presenti i canoni controriformisti e regole della architettura dell’Ordine Cappuccino, proponendo un impianto planimetrico secondo il modello canonico ad aula unica con tre cappelle per lato con una certa ricorrenza di ricerca delle proporzioni fondate sul modulo rappresentato dalla dimensione della crociera. Lo spazio del presbiterio prevede la poco frequente presenza di un coro, riservato ai religiosi, posto alle spalle dell’altare maggiore, sistemazione detta con “coro doppio”, o a “chiesa doppia”, consueta proprio dell’architettura dell’Ordine Cappuccino. Ai lati del coro, due ambienti riportano la planimetria complessiva della chiesa ad una semplice forma rettangolare, secondo una visione “scatolare” dello spazio architettonico che può essere ricondotta alla impostazione generale dell’architettura cappuccina ed anche alla formazione lombarda dell’architetto. La pianta dello spazio liturgico (presbiterio, transetto, navata) è a croce latina. L’Altare Maggiore (1627-30), commissionato dal Cardinale Carlo Pio di Savoia, di cui sono gli stemmi gentilizi, concepito come un diaframma fra presbiterio e coro, privo di muratura retrostante cui appoggiarsi, per motivi stilistici viene attribuito al giovane Gian Lorenzo Bernini. La plasticità dell’insieme, l’uso della colonna libera e l’effetto di controluce originariamente dato dalla finestra aperta sul fondo del coro, avvicinano l’opera ad altri altari del Bernini.
L’incontro tra Fra’ Michele e Gian Lorenzo Bernini era già avvenuto in occasione dell’incarico pontificio nel 1624 per il rinnovamento della Chiesa di S. Bibiana a Roma (del IV sec.). G.L.Bernini ne diresse i lavori dal 1624 al 1626 e il 4 Dic.1627 sottoscrisse con Fra’ Michele il conto relativo; qui si sono affiancati due personaggi molto diversi, il frate, uomo di fiducia del pontefice per il rigore, la capacità costruttiva ed organizzativa, e l’artista per la genialità. I due furono ancora insieme nel 1628 collaborando per la “Barcaccia” di Piazza di Spagna commissionata al padre di Gian Lorenzo, Pietro Bernini. A Galloro, mentre è ancora in corso la costruzione della chiesa inizia la costruzione del convento per i monaci Vallombrosani, a loro spese, essendo stato affidato a questo Ordine il complesso di Galloro dal cardinale vescovo di Albano Gaspare Borgia (1630-45). Il convento vallombrosano di Galloro, nei caratteri stilistici e tipologici propri, è attribuito allo stesso architetto della chiesa. Delle tre ali originalmente previste, testimoniate dal disegno delle piante del complesso del tempo del Papa Chigi, solo un’ala fu realizzata all’epoca. La chiesa il 16 maggio 1633, quando vi fu portata l’Immagine Mariana, era ancora incompleta, senza facciata né rifiniture delle cappelle di cui solo due per ala della navata risultavano approntate. L’interno della chiesa aveva evidentemente un carattere austero, originariamente con dominante cromatica bianca, senza alcuna decorazione policroma (come allora era prevalente atteggiamento). La generale semplicità dell’architettura era anche stabilita da un ordine interno semplificato per la mancanza di capitelli. La cupola è su alto tamburo ed aveva in origine un cupolino andato praticamente distrutto dal terremoto nel 1790, non più ricostruito. In particolare, non consueta è la forma a cupola ovale delle coperture delle cappelle laterali della navata.
Immagine di Chiesa e Convento (nell‘800) come restati fino al 1930
Con l’acquisto della famiglia Chigi del Feudo di Ariccia nel 1661, il Papa Alessandro VII (Chigi, 1655-67) affida a G.L. Bernini un vasto programma di completamento, consolidamento, decorazione e rifiniture. Furono, quindi, realizzate le due cappelle verso la facciata negli spazi rimasti a rustico; rifinite e completate anche le altre cappelle. Furono rifatte le coperture, il pavimento e la Cupola fu ricoperta con lastre di piombo. Bernini aggiunse alla chiesa la facciata che riprende la tipologia detta “palladiana”, impostata sulla giustapposizione di due ordini: un ordine gigante di paraste corinzie su piedistallo, su cui poggia un timpano triangolare, ed un ordine minore di paraste ioniche, sormontate da un’alta trabeazione orizzontale. Il materiale usato fu peperino ed intonaco, il tutto completato per apparire “bianco di stucco e di travertino”. Variazioni all’interno saranno eseguite successivamente con: la realizzazione della balaustra in marmi policromi davanti l’Altare Maggiore su commissione di Papa Benedetto XIV nel 1756; quindi, nel 1762 l’abate Alberganti affida al pittore Giovanni Mazzetti la ‘marmorizzazione’ degli elementi architettonici, la doratura dei capitelli e delle basi dell’Altare Maggiore, forse per necessità di risanamento delle strutture. Con queste realizzazioni, tese a dare maggiore rilevanza ed impreziosire l’Immagine di Galloro e, con questa, l’Altare Maggiore, si conclude una lunga serie di interventi. Nella prima metà dell’800 i Gesuiti, subentrati nella conduzione del complesso di Galloro, effettuarono lavori di riparazione, decorazione delle cappelle, rifacimento del pavimento. Nel 1642 fu installato un primo organo donato al Santuario dal Principe Torlonia nel 1842, posto su una cantoria innalzata all’ingresso della chiesa, contrapposta alla facciata. Nel 1867 le offerte raccolte fra la nobiltà romana e la donazione da parte del cardinale Antonelli di alcuni marmi, resero possibile la realizzazione di una Mensa d’Altare posta davanti l’antico Altare Maggiore. Il 19 ottobre 1896 i Vallombrosani ripresero possesso del complesso. Per la chiesa è un nuovo periodo di restauri per sanare e consolidare le strutture lesionate dai terremoti del 1893 e del 1899 con incatenamenti, cerchiatura della cupola. In questa occasione l’interno della cupola, che finora era decorata col motivo della grande stella ad otto punte e con l’iscrizione dedicatoria all’Immacolata, venne ulteriormente decorata dal pittore Arturo Gatti attivo all’epoca anche nel Santuario della Santa Casa di Loreto Marche. Il 2 febbraio 1907 venne rimosso l’organo a canne del principe Torlonia e venne installato un nuovo organo su una nuova cantoria nello spazio del coro dietro l’Altare Maggiore; questa installazione ha, di conseguenza, eliminato, per l’Altare Maggiore, l’effetto di controluce originariamente dato dalla finestra aperta sul fondo del coro.La cappella dell’Altare Maggiore, la volta del coro, la nuova cantoria, furono decorate con stucchi e pitture da Emanuele Sciotti (1907-9); il presbiterio, così, assunse una forte connotazione cromatica, con diversa policromia, mentre il resto della chiesa rimase sostanzialmente poco decorata. Nel 1924 ancora un cambiamento con il ritorno dei Gesuiti che procedono con un vasto programma di manutenzione, restauri per la chiesa e grande ampliamento del convento con l’innalzamento, con un nuovo piano, dell’edificio ad unica ala preesistente e la costruzione di nuovi ambienti nelle altre due ali. Nella chiesa furono interamente decorati il transetto e la navata con specchiature a finti marmi. La volta della navata venne decorata con motivo a cassettoni ed il pavimento rifatto con marmi lucidi rossi e grigi. La facciata fu infelicemente dipinta con colore giallino, mentre furono portati a vista gli elementi in peperino. Solo negli anni ’90 del XX sec. la facciata è tornata ad essere più prossima all’aspetto originario. Nel 2004 è subentrato il clero diocesano nella gestione della chiesa. Come interventi vanno segnalati l’installazione nel presbiterio di una nuova Mensa d’Altare, per adeguamento ai cambiamenti richiesti dalle riforme del Concilio Vaticano II, di un Ambone esterno al presbiterio, nel transetto, ridipintura anche con fondi pubblici, dell’esterno della chiesa. Nel complesso del convento i Gesuiti hanno operato fino al 2016 come “Casa Sacro Cuore” per esercizi spirituali.
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