Gli Ordini Religiosi

BREVE STORIA

Gli Ordini Religiosi

Il complesso di Santa Maria di Galloro, Santuario e Monastero, è stato retto per 370 anni da Clero Regolare,
ovvero: Congregazione Benedettina dei Monaci Vallombrosani e Ordine dei Chierici Regolari della
Compagnia di Gesù che si sono alternati per due periodi ciascuno. Attualmente il Santuario è retto da Clero
Secolare, presbiteri del Clero Diocesano che ne hanno preso possesso nel 2004.


Primo Periodo della Congregazione Vallombrosana

I monaci vallombrosani sono stati i primi a reggere il Santuario al quale aggiunsero il monastero la cui costruzione iniziò il 17 gennaio 1632 essendo stato approvato, dal vescovo di Albano Gaspare Borgia e dal feudatario di Ariccia principe Paolo Savelli, il loro insediamento il 4 dicembre 1631.

Immagine del Santuario col Monastero. Incisione di G.B. Falda 1665 circa.

Primo abate a Galloro fu Don Benigno Bracciolini, da Santa Prassede in Roma, la cui nomina fu ratificata da papa Urbano VIII con Breve apostolico del 30 maggio 1632. Il nuovo insediamento monastico ebbe a riferimento, come casa madre, la comunità monastica vallombrosana della Basilica di Santa Prassede in Roma, tuttora esistente.
L’abate Bracciolini il 15 maggio 1633, prima festa di Pentecoste, in abito pontificale, entrò, benedisse la chiesa dedicandola col titolo dell’Immacolata Concezione e celebrò la prima messa. Il giorno seguente la Sacra Immagine tagliata dalla roccia fu portata dal fosso nella chiesa con gran corteo, passando prima per il borgo di Ariccia; all’arrivo fu cantata la messa pontificale dall’Abate di S. Prassede di Roma.
Il tempo dei monaci vallombrosani nel Santuario di Galloro si divide in due periodi dal 1634 al 1798 e successivamente dal 1894 al 1924.
Il primo periodo va, quindi, dal loro insediamento nel 1634 al 1798 quando Roma fu invasa dalle armate francesi di Napoleone Bonaparte, quando furono soppressi gli ordini religiosi, ed i monaci dovettero abbandonare il Santuario. L’11 aprile del 1798 il Santuario fu depredato da un Commissario francese, a nome dell’imposto presidente repubblicano di Albano, degli ori ed argenti che vi erano. La Icona della Madonna fu portata nel Castello di Ariccia e, quindi, chiusa in un’arca di legno; nel luglio seguente fu trasportata nella Chiesa di Ariccia dove fu riconsegnata alla venerazione del popolo l’11 di novembre.
L’Immagine fu riportata, per decreto di papa Pio VII, nel suo Santuario il 5 dicembre 1801 in tempo per la festività dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre.
A questo primo periodo vallombrosano sono ascritte la più gran parte delle opere delle quattro primitive cappelle (2° e 3° nella navata), del transetto, dell’altare maggiore, sulla cupola.
La calotta della cupola fu adornata a stucchi sin dal 1630 con una grande stella ad otto punte, Maris Stella o anche Stella Mattutina, simbolo mariano secondo l’iconografia classica.
I quattro pennacchi che raccordano i pilastri alla cupola con base circolare sono affrescati con le immagini dei quattro primi santi vallombrosani: S. Giovanni Gualberto, fondatore della congregazione; S. Bernardo degli Uberti che fu vescovo di Parma; San Tesauro Beccaria che fu Superiore Generale, decapitato a Firenze nel 1258 per controversie politiche; S. Pietro Aldobrandini detto Igneo che fu vescovo cardinale della
diocesi di Albano.

S. Giovanni Gualberto
S. Bernardo di Parma
S. Tesauro Beccaria
S. Pietro Igneo
A questa prima fase appartengono anche le realizzazioni del tempietto dell’Altare Maggiore con l’Icona, degli altari ai due lati del transetto, le primitive quattro cappelle (in ordine dall’ingresso in navata 2° e 3°). Per l’Altare Maggiore non c’è notizia dell’architetto e l’attribuzione a G.L. Bernini giovane è una ipotesi. È certo, invece, che fu costruito a spese del cardinale Carlo Emanuele Pio di Savoia che fu vescovo di Albano (1627-1630).
Sulle portelle: Statue in stucco
(di Tomaso Solaci 1751)
A sinistra: S Benedetto
A destra: S. Giovanni Gualberto

Sul tempietto: Allegorie in stucco
A sinistra: La Mansuetudine
A destra: L’Innocenza

La raggiera con coro degli angeli che incornicia l’Immagine è di epoca successiva.

Uno solo dei due altari originali del Transetto è ancora in loco, quello sulla destra, essendo stato l’altro modificato nel XVIII sec. Infatti, sul lato sinistro del Transetto la pala d’altare era dedicata alla Madonna delle Grazie come dirà il papa Alessandro VII Chigi riferendosi al suo andare in visita a Galloro. Nel XVIII sec. l’altare sarà, invece, dedicato al Crocifisso, sormontato da un dipinto ad olio su tela di Madonna Addolorata del 1720 circa. Su una fiancata della Cappella del Crocifisso resta, comunque, un dipinto del XVII sec. che ritrae l’Abate ariccino Giuseppe Maria Bonini (1692-1696) orante con l’Immagine dell’Icona di Galloro.

Addollorata
Crocifisso settecentesco
Abate Bonini orante
Nell’altare a destra del transetto, Cappella Savelli, si ammira l’altare, realizzato con marmi pregiati, con grande dipinto rappresentante la Natività con S. Anna e S. Francesco, come desiderato dal duca Federico Savelli in ringraziamento per la sua liberazione dalla prigionia, avvenuta nel 1638, in Germania dove era intervenuto nella fase finale ’francese’ della ‘Guerra dei Trent’anni’.

Nelle quattro primitive cappelle della navata si ammirano ancora grandi dipinti del primo periodo vallombrosano.

Le cappelle 2° e 3° a sinistra della navata sono dedicate a S. Antonio di Padova e S. Giuseppe.

Cappella del Sacro Cuore, terza a destra nella navata S. Giovanni Gualberto, alla sua destra il Monastero di Vallombrosa
Cappella di S. Ignazio, seconda a destra nella navata S Bernardo Uberti ferma l’inondazione del Po
2° cappella. S. Antonio in adorazione di ignoto
3° cappella: S. Giuseppe di A. Mariani

Una fase particolare di questo primo periodo vallombrosano fu l’acquisto dei Chigi del Feudo di Ariccia nel 1661 in seguito all’elezione a pontefice di Flavio Chigi col nome di Alessandro VII (papa dal 1655 al 1667). Per tutta Ariccia fu un periodo di grandi lavori; per il Santuario di Galloro dal 1661 al 1663 ci furono interventi ambientali e architettonici-artistici. Nella cappella a destra del transetto, Cappella Savelli, si ammira l’altare, realizzato con marmi pregiati, con grande dipinto rappresentante la Natività con S. Anna e S. Francesco, come desiderato dal duca Federico Savelli in ringraziamento per la sua liberazione dalla prigionia, avvenuta nel 1638, in Germania dove era intervenuto
nella fase finale ’francese’ della ‘Guerra dei Trent’anni’.

A sinistra. Cappella del Sacro Cuore, terza a destra nella  navata S. Giovanni Gualberto, alla sua destra il Monastero di Vallombrosa

A destra. Cappella di S. Ignazio, seconda a destra nella navata S. Bernardo Uberti ferma l’inondazione del Po S.Bernardo Uberti

2° cappella. S. Antonio in adorazione di ignoto
3° cappella: S. Giuseppe di A. Mariani

affidati alla direzione di Gian Lorenzo Bernini. Dal punto di vista ambientale ci fu il primo intervento che mitigò l’isolamento con la creazione di una strada fra il borgo di Ariccia ed il Santuario reso così più facilmente raggiungibile; la strada proseguendo collegò il Santuario anche a Genzano. Inoltre, l’area antistante i Santuario fu sbancata con la creazione di una piazza.
Il Santuario, fu restaurato, consolidato, con interventi quale la copertura in piombo della cupola, revisione delle architetture esistenti, completamento con l’aggiunta della facciata in stile palladiano ed all’interno, ancora, con la creazione subito all’ingresso di due nuove prime cappelle per i due lati della navata.
L’architettura delle prime due cappelle sono, perciò, del Bernini e sui relativi altari sono due grandi tele con soggetto relativo ai due santi canonizzati da Alessandro VII. Nella Cappella a destra la pala d’altare è dedicata a S. Francesco di Sales (Predicazione agli svizzeri. Opera di Guglielmo Cortese “il Borgognone”); nella cappella a sinistra la pala d’altare è dedicata a S. Tommaso da Villanova (S. Tommaso risana uno storpio. Opera di Giacinto Giminiani). La conclusione dei lavori fu celebrata con l’emissione di una medaglia
disegnata da G.L.Bernini.

S. Francesco di Sales
medaglia dedicatoria
S. Tommaso da Villanova

Fu, inoltre, apposto lo stemma del papa chigiano all’interno sul portale d’ingresso con dedica sugli interventi eseguiti. (Stemma spostato nel XIX sec. sulla parete del Coro dietro l’Organo a canne e il Tempietto dell’altare Maggiore).

Dedicazione ad Alessandro VII con Stemma Papale

Il 10 giugno 1726, secondo giorno di Pentecoste, anniversario della traslazione in chiesa, per delega papale il Monsignor Camillo Cibo, Patriarca di Costantinopoli e poi Cardinale della Santa Romana Chiesa, appose una corona d’oro sull’Immagine, lascito del sacerdote D. Girolamo Bigelli, senese musico a Roma della Cappella Pontificia, devoto alla Sacra Immagine, Va ricordato che il primo abate D. Benigno Bracciolini e l’abate D. Gervasio Alberganti, che resse il Santuario di Galloro negli anni 60 del ‘700 e promosse il restauro del coro dietro l’altare maggiore, furono sepolti a metà della navata come chiesero per il grande attaccamento al Santuario.
La conclusione di questo primo periodo fu determinata dalle turbolenze dal 1798 al 1816 con l’invasione delle truppe francesi rivoluzionarie e napoleoniche. Il Santuario ebbe in questo tempo saltuariamente la presenza di monaci vallombrosani, fino alla loro definitiva dispersione per soppressione della Congregazione, e la cura di due sacerdoti sudamericani, originariamente gesuiti, la cui Compagnia era stata anch’essa soppressa. Ciò fino al termine dell’era Napoleonica.

Botola delle sepolture

Primo Periodo della Compagnia di Gesù

Nel 1816 il papa Pio VII, con un Breve del novembre, affida il Santuario ai padri della Compagnia di Gesù, in dipendenza dalla Sede del Collegio Romano (Gregoriana), che vi resteranno ufficialmente fino al 1874.  Il cardinale vescovo di Albano Michele Di Pietro il 12 febbraio 1817 ratificò la presenza dei gesuiti nel santuario di Galloro. Il 20 di ottobre, terza domenica del mese, il papa Pio VII adornò l’Immagine della Madonna con una nuova corona d’oro a sue spese, successivamente il re Carlo IV di Spagna, in esilio in
Italia, donò tre rose d’oro sovrapposte a quelle dipinte. Dopo, per un lungo periodo furono eseguiti in Santuario lavori di manutenzione, rifacimento della pavimentazione secondo lo schema seicentesco, varianti ed abbellimenti alle decorazioni delle cappelle. Nel 1842, fu installato, su una cantoria lignea all’ingresso del Santuario, il primo organo a canne donato dal principe Alessandro Raffaele Torlonia e fu spostato sulla parete dietro l’Altare Maggiore lo stemma del papa Chigi inizialmente posto all’interno della facciata. In questo periodo furono modificate la seconda e terza cappella di destra della navata. La seconda cappella era dedicata a S. Francesco che fu sostituito con il fondatore della Compagnia di Gesù ornando l’altare con una grande tela di S. Ignazio sovrastante il Santuario di Galloro dipinto verso l’angolo destro in basso della tela.

S. Ignazio
particolare: Immagine del Santuario

Nella cappella sono anche tele di Sante Vallombrosane: S. Berta e S. Umiltà, opere attribuite a Ignazio Hugford. Per i gesuiti c’è una tela di ignoto che rappresenta S. Giovanni Berchmans.
L’altare della terza cappella, precedentemente dedicato a S. Accasio, fu dedicato al Sacro Cuore rappresentato dalla relativa sacra immagine dipinta da A. Mariani. Nelle cappelle del Transetto furono apposte le immagini dei due primi santi giovani novizi gesuiti

S. Cuore di A. Mariani
Transetto a sinistra: S. Stanislao Kostka di E. Bottoni
Transetto a destra: S. Luigi Gonzaga di E. Bottoni
Nel 1845, nella quarta domenica di ottobre, giorno 26, il Santuario fu riconsacrato. Nel 1867 fu realizzato l’altare maggiore in preziosi marmi policromi, munificenza del Cardinale G. Antonelli e del duca Grazioli, dove spicca il tabernacolo con la figura del Cristo in mosaico minuto. Con l’avvento del Regno d’Italia furono soppressi gli ordini religiosi nel 1867 e la secolarizzazione, ovvero confisca, di tutti i beni ecclesiastici. Questo si estese anche a quello che era lo Stato della Chiesa allorché fu annesso al Regno d’Italia nel 1870. Dopo il 1874, fu permessa la cura del Santuario per un massimo di due preti, per cui il Santuario restò affidato, ancora una volta, a due sacerdoti, già padri gesuiti. Il primo periodo dei Gesuiti cessò ufficialmente definitivamente nel 1896 alla morte del sacerdote che fu l’ultimo superiore del Santuario, P. Giuseppe Piccirilli.
Tabernacolo

Secondo Periodo della Congregazione Vallombrosana

A causa dell’abbandono dei Gesuiti, il Cardinale Vescovo di Albano Parocchi, con l’avallo del papa Leone XIII, ottenne dal Superiore della Congregazione Vallombrosana il ritorno dei monaci che occuparono, quindi, in affitto, il Monastero proprietà del Municipio di Ariccia dopo la confisca dei beni dei religiosi.
Successivamente la Congregazione Vallombrosana acquistò dal comune di Ariccia il convento con atto del 30 marzo 1900.
I Vallombrosani di Santa Prassede presero ufficialmente possesso del Santuario il 20 di ottobre 1897 esattamente ottanta anni dopo i Gesuiti. La chiesa fu trovata parecchio trascurata dopo la soppressione del 1872 per cui i monaci vararono un programma di manutenzione straordinaria, provvedendo anche ai danni di terremoti del 1893 e 1896, rinforzando e cerchiando la Cupola, la Cappella dell’Altare Maggiore, la sagrestia e i vari locali. Contemporaneamente il prof. Arturo Gatti, che collaborava col Maccari nel Santuario di Loreto Marche, intervenne con abbellimenti nelle decorazioni della Cupola che porta nel cerchio centrale la dedica alla Immacolata Concezione e, nei sedici spicchi triangolari originati dalla rappresentazione della grande stella ad otto punte, immagini e scritte ispirate a invocazioni delle Litanie Mariane.

L’organo a canne fu tolto dall’ingresso in Santuario e ne fu istallato uno nuovo e di gran pregio su una nuova orchestra nel coro absidale, inaugurato il 2 febbraio 1907, come voluto dal P. Don Alberto Parenti, superiore di Galloro, e dal P. Don Placido Lucherini organista di S. Prassede. L’organo fu eseguito dalla fabbrica Agati-Tronci di Pistoia. L’orchestra fu progettata dall’ ing. Carlo Tonelli, le decorazioni del complesso e del coro absidale furono a cura del pittore Emanuele Sciotti di Genzano che, quindi, decorò anche tutta la Capella dell’Altare Maggiore (Cappella della Vergine).
I monaci vallombrosani cedettero il Monastero e il Santuario della Madonna di Galloro nel 1924 alla Compagnia di Gesù che cercava un nuovo luogo per il Noviziato della Provincia Romana.

 

Secondo Periodo della Compagnia di Gesù

 
Nel 1924 La Compagnia di Gesù acquistò il monastero. L’antico convento venne grandemente ampliato e la nuova struttura fu dedicata al Noviziato e Studentato Gesuitico ivi trasferito dalla precedente residenza a Frascati. Questa destinazione a Noviziato è durata circa 30 anni, poi il complesso è stato destinato a ‘Casa Sacro Cuore’ per Esercizi Spirituali fino al definitivo abbandono il 2 ottobre 2016.
In questo periodo furono eseguiti lavori di restauro, fu rinnovato il pavimento con Marmo Rosso di Verona e furono decorate le volte della Navata e del Transetto (1931), delle Cappelle (1933). La chiesa in generale perse il colore chiaro originale di epoca berniniana.

A seguito dei bombardamenti del 1944 nella zona, il 12 aprile i gesuiti portarono l’Immagine Mariana prima nel Santuario del Divino Amore e successivamente a Roma all’Oratorio di Caravita, presso la chiesa di S. Ignazio, dove rimase esposta fino al luglio quando fu riportata nel suo Santuario ad Ariccia.
Il 25 ottobre 1964, festa di Cristo Re, il Santuario della Madonna di Galloro divenne Parrocchia, primo parroco il gesuita P. Nazareno Sartini.
Il 14 settembre 2004 la Compagnia di Gesù consegnò la parrocchia, ossia il Santuario, alla Diocesi di Albano consegnando i beni mobili, dipinti, sculture ed arredi. Il Monastero restò proprietà della Compagnia come casa per i ritiri spirituali. Di conseguenza fu chiuso, dopo secoli, l’accesso fra Santuario e Monastero.

Cielo della Navata
la Navata dipinta nel XX sec.
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